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Nuove Indicazioni nazionali 2025, il nostro approfondimento

Analisi e considerazioni sulle nuove Indicazioni nazionali 2025 per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione

In premessa riteniamo non eludibile la necessità di maggiore tempo per meglio capire, riflettere ed analizzare la portata delle Indicazioni nazionali 2025. Un’esigenza che, a nostro avviso, riguarda anche le scuole chiamate ad esprimere un questionario di gradimento in un lasso di tempo troppo breve (la ridotta proroga non rappresenta una soluzione). Siamo in presenza di un testo che richiede una necessaria approfondita analisi sulle ripercussioni nei processi educativi, nella didattica e anche sugli aspetti di cultura generale che rappresentano il presupposto a tutto il documento.

Riteniamo, inoltre, che sarebbe stato necessario un coinvolgimento capillare degli attori della scuola da cui ricavare suggerimenti e pratiche che hanno rappresentato successi formativi da cui trarre indicazioni.

Negli anni si sono evidenziate molteplici interventi nel mondo della scuola che hanno spinto ogni governo e relativo Ministro dell’Istruzione a caratterizzare la loro azione introducendo, ognuno, pezzi di riforma scolastica a volte in contraddizione con quelle precedenti o, addirittura, stravolgendo quanto fatto dai precedenti governi e ministri competenti.

Attualmente non abbiamo assistito ad un “patto”, come avvenuto nel 2012, sul quale far convergere maggioranza e opposizione che insieme agli studiosi e specialisti della pedagogia e dei sistemi scolastici, agli insegnati e ai Dirigenti scolastici fossero in grado di costruire quanto necessario per elaborare le indicazioni nazionali.

Riteniamo, infatti, che le indicazioni nazionali del 2012 rappresentano un lavoro serio che, come è ragionevole, necessita di aggiornamenti e integrazioni che avrebbero dovuto concentrarsi in particolare sulle nuove sfide determinate dal digitale, dall’intelligenza artificiale, dai nuovi modi di comunicare e interagire. Alcuni di questi temi li troviamo nelle linee guida in applicazione della legge sull’educazione civica del 20 agosto 2019, n. 92 che, a nostro avviso, avrebbero potuto raffigurare una buona base di partenza. Una particolare attenzione avrebbe dovuto essere posta all’educazione finanziaria che riteniamo essere un terreno su cui scontiamo un importante ritardo nel contesto dei processi educativi europei.

Quelli su esposti avrebbero dovuto rappresentare le questioni su cui procedere verso un costruttivo aggiornamento delle indicazioni nazionali e soprattutto sarebbe stato necessario che tutti gli attori in campo, a cominciare dal Governo, dal Ministro e dal Parlamento, si apprestassero in modo serio e risolutivo ad affrontare il gravissimo problema strutturale della scuola italiana: il numero inaccettabile di docenti precari (oltre 230.000) che incidono negativamente su uno degli aspetti fondamentali di qualsiasi azione educativa (financo per l’applicazione delle indicazioni nazionali) ovvero la continuità didattica.

Nelle Indicazioni ci si concentra molto sugli ambienti di apprendimento fisici sebbene, a causa dei forti tagli delle risorse finanziarie destinate agli enti locali, non si riesce troppe volte a garantire una manutenzione ordinaria degli edifici e molti di essi sono sprovvisti di palestre; inoltre, con la diminuzione dei posti in organico si procederà inevitabilmente verso la progressiva diminuzione del numero delle classi autorizzate con conseguente innalzamento in esse del numero degli alunni che non troveranno risposte adeguate ai loro bisogni formativi.

Di fronte al tema della denatalità, che rappresenta per la nostra società un dramma in sé, abbiamo l’occasione di trasformarla in un’opportunità: fare una scelta “rivoluzionaria” ovvero la riduzione del numero di alunni per classe, tema non eludibile che si intreccia con la reale efficacia dei processi educativi che le stesse indicazioni nazionali si propongono. Muoversi verso l’obiettivo di 18 alunni per classe dovrebbe essere la meta a cui tutti puntare. Dovremmo tutti impegnarci per far nascere e rendere effettiva una forte volontà politica in tal senso.

A fronte di queste preoccupanti condizioni della scuola questa fretta a definire ex novo le indicazioni nazionali ci appare un tentativo di partire dalla coda invece che dalla testa quest’ultima rappresentata da una condizione oggettiva per cui un docente su 4 è precario, limitazione concreta che rischia di vanificare ogni buon proposito.

È innegabile che dalla lettura complessiva delle premesse culturali si avverte un’impostazione di tipo paternalistico. Il richiamo alla coercizione verso gli alunni sottende ad un’idea che ci sono forze nemiche per cui bisogna difendersi. Dalla lettura delle premesse culturali si avverte un senso di paura per cui occorrono contromisure. Tutto sembra essere un rischio: il digitale, le famiglie che non danno un aiuto alla scuola in termini educativi. Un’impostazione di tal genere, inoltre, non consente un approccio serio, analitico e meditato alla nuova sfida che pone l’intelligenza artificiale.

Nella “Premessa culturale generale delle Nuove Indicazioni” emerge subito la nozione di “persona” ancorata alla cultura occidentale. La “persona”, di cui si richiama la radice greca e latina di volto, “è una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire io” (pag. 8). Pur essendo relazione, l’individuo deve essere sempre preminente rispetto al suo essere parte di una comunità. Il “volto” vuole forse richiamare l’appartenenza ad una razza, che nella sua storia ha saputo affermare il principio della libertà, e dunque il riferimento alla cultura occidentale nata “fra Atene, Roma e Gerusalemme”? Sono dunque queste le basi antropologiche per lo sviluppo del senso morale e della comprensione del principio di autorità? Su questo è forse necessario un maggiore approfondimento, per salvaguardare le conquiste in chiave “interculturale” fatte dalla scuola italiano in questi decenni.

Fatte tali premesse non ci esimiamo dall’entrare nel merito di alcuni temi contenuti nelle indicazioni nazionali proposteci:

Persona, scuola e famiglia sono punti di riferimento importanti anche se, come detto, rileviamo una retorica paternalistica, ad esempio, nei confronti delle stesse famiglie: “Va spiegato a bambini e preadolescenti, anzitutto da parte dei genitori, che la nostra Repubblica ha posto la scuola al centro del suo progetto di Paese e che la scuola è un bene sociale comune di inestimabile rilevanza, da tutelare e valorizzare, a cominciare dalle parole usate per parlarne”. A ciò si aggiunge una enfatizzazione relativa agli atti di vandalismo e sulle offese agli insegnanti che implicherebbero riflessioni molto più approfondite e non un’impostazione rivolta prevalentemente ad un’idea generica di rispetto “maxima debetur magistro reverentia”. L’attenzione andrebbe rivolta prevalentemente alla mancanza di ambienti adeguati, mancanza di palestre di aule con strumenti musicali. Ci troviamo di fronte in molti casi in strutture scolastiche dove manca l’agibilità e dove il rispetto per le persone e le cose dovrebbe avere come presupposto “la bellezza” dell’istituzione scolastica.

Si avverte anche la sensazione di volgere verso un ruolo marginale del docente rispetto al processo di apprendimento in sé, quasi che il suo ruolo fosse decisivo solo in relazione al comportamento dell’alunno; viene compresso il diritto alla libertà di insegnamento (art. 33 Costituzione) nel momento in cui si leggono i suggerimenti rispetto ai testi da utilizzare nelle discipline letterarie o i suggerimenti sullo stile di insegnamento da adottare. Un investimento nell’ambiente fisico di apprendimento, senza un investimento prevalente sul capitale umano e professionale, crea una frattura con i contenuti e le competenze da acquisire. Tale accento sugli ambienti di apprendimento sembra finalizzato al tentativo di coniugare strumenti e pratiche didattiche del passato con le nuove tecnologie, ossia “la carta e la penna e la lettura ad alta voce e la convivenza armoniosa di assistenti virtuali”.

Il ruolo di insegnante quale “maestro” è condivisibile, ma riteniamo che nella scuola primaria sarebbe necessario il ripristino di una pluralità di “maestri” attraverso una rinnovata applicazione di un insegnamento modulare e il superamento dell’anacronistico concetto di maestro unico.

Il riferimento al valore della persona che è il soggetto assoluto in una comunità, oltre a richiamare “l’azione della scuola nel promuovere l’identità personale, culturale, relazionale e partecipativa della persona umana” avrebbe dovuto, a nostro avviso, essere completata con la sottolineatura “nel rispetto della diversità di genere, di sesso e di religione”.

Anche sul tema dell’inclusione, prevale la scelta di privilegiare gli ambienti fisici, mettendo in secondo piano i processi culturali come cambiamento. Il riferimento a Comenius, secondo il quale, tutto può essere insegnato a tutti, implicitamente non rispetta le difficoltà e i bisogni educativi di ognuno o di qualcuno. Non compare la figura del docente specializzato, il che porta a pensare che si voglia raggiungere l’obiettivo di un docente unico, che sia curriculare- specializzato allo stesso tempo, a discapito del rapporto 1/1 o 1/2, per favorire gli ausili virtuali in grado di semplificare la personalizzazione degli apprendimenti. Si demolisce, di fatto, la figura del docente specializzato (attualmente docente della classe è bene sottolinearlo) come intermediario dell’inclusione, facilitatore degli apprendimenti e co- protagonista di una relazione affettiva e di fiducia con gli alunni più deboli e le loro famiglie. Sembra quasi che l’inclusione diventi un processo naturale di buone prassi.

Riguardo a scuola e nuovo umanesimo condividiamo, oltre il richiamo importante all’art.3 della nostra Costituzione, l’impostazione, in controtendenza rispetto ad una retorica eccessiva sulle competenze, per cui le competenze assumono un rilievo subordinato laddove si precisa “l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti”. Al contempo rileviamo alcune impostazioni contraddittorie che lasciano spazio a confusione tra i termini “competenze” e “abilità”.

In riferimento alle “guerre terribili” della prima metà del ‘900, proprio perché in premessa al paragrafo Libertà, cura di sé ed etica del rispetto in cui si vuole evidenziare la cultura della libertà che è il valore più caratteristico dell’Occidente, sarebbe stato necessario fare riferimento a chi ha garantito quelle libertà attraverso un sacrificio di milioni di donne e uomini che si sono opposti ai fascismi e in seguito ad ogni forma di totalitarismo come quello sovietico. Altrimenti quelle guerre totali assumono un carattere neutro (altro tema che affronteremo) in cui tutti sono responsabili e nessuno lo è.

Condivisibile in pieno, lapalissiano diremmo, il richiamo a “sviluppare la capacità di pensare in modo critico e autonomo, di riconoscere i diritti e i doveri propri e altrui e di comprendere l’importanza della giustizia e dell’equità nella società”.

Ci appare oscuro la ratio del riferimento alla “comprensione del principio di autorità” in quanto rappresenti una conquista dell’uomo libero. A nostro avviso l’uomo libero è colui che sa mettere in discussione con le proprie capacità critiche anche quel principio che è poi l’ossatura su cui si è costruita la “libertà” dell’Occidente.

Lo studio della Bibbia può essere considerato pertinente nel momento in cui è teso alla delineazione del rapporto tra la scuola di oggi e il nuovo umanesimo:

“La libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme. Ed è il cuore pulsante della nostra democrazia” (Libertà, cura di sé ed etica del rispetto, p. 10 II cpv);

Rileviamo però che per la prima e la seconda classe della scuola primaria lo studio delle radici della cultura occidentale attraverso alcune letture/narrazioni come la Bibbia o l’Odissea, mediante lo studio della differenza tra monarchia e repubblica, i concetti del Risorgimento e lo studio dell’inno di Mameli, rappresentano contenuti culturali, che seppur semplificati, risultano essere complessi per l’età evolutiva del discente, che deve ancora consolidare gli aspetti dell’asse temporale.

Al riguardo, non avendo alcun preconcetto sullo studio della Bibbia, è estremamente necessario che tale studio non risulti:

  • Una forzatura culturale in un ambiente scolastico pubblico e pluralista;
  • Una sovrapposizione con l’insegnamento della religione cattolica, che già affronta questi temi con strumenti pedagogici e didattici adeguati.
  • Una scelta sbilanciata dal punto di vista ideologico, nel quadro di un impianto antropologico dichiaratamente cristiano delle Nuove Indicazioni 2025.

I fondamenti teorici delineati nelle nuove Indicazioni sembrano orientare la concezione dell’educazione verso un impianto antropologico di matrice cristiana, che si distingue per una visione integrale della persona. Tale scelta, pur riconoscibile all’interno della tradizione culturale italiana, potrebbe essere interpretata come un tentativo di riequilibrio rispetto a impostazioni pedagogiche di ispirazione laica e progressista che hanno avuto ampia diffusione nel dibattito educativo degli ultimi decenni e che riteniamo avere prodotto buoni risultati educativi.

Convitti, D’Aprile: “Parabola pericolosa, da punto di eccellenza a rischio sopravvivenza”

 convitti, storici presìdi educativi del sistema scolastico italiano, sono oggi a rischio sopravvivenza, denuncia il Segretario generale della Uil Scuola Rua, Giuseppe D’Aprile.

Con 35.984 studenti, 2.277 educatori e 68 istituzioni scolastiche attive in 18 regioni – afferma il Segretario – queste strutture rappresentano un modello unico, capace di offrire tempo pieno, tutoraggio continuativo e un percorso formativo completo dall’infanzia alla secondaria.

Nonostante il loro ruolo strategico e la continua crescita delle iscrizioni, i convitti scontano una grave carenza di attenzione istituzionale. Una normativa risalente al Regio Decreto del 1925 regola ancora oggi il loro funzionamento, senza prevedere meccanismi di democrazia interna né adeguamenti ai cambiamenti educativi e sociali degli ultimi decenni.

“La gestione verticistica dei convitti, ancora affidata a consigli di amministrazione non eletti, va superata. Serve una riforma che apra gli organi di governo alla partecipazione di tutte le componenti scolastiche: personale docente, educativo, ATA, studenti e famiglie,” dichiara D’Aprile.

Ancora più preoccupante è la situazione del personale educativo: il Ministero dell’Istruzione e del Merito continua a congelare l’organico ai numeri del 2011/12, ignorando l’aumento degli alunni e rendendo impossibile mantenere alti standard di qualità educativa. Senza investimenti adeguati, il rapporto educatori-studenti è destinato a deteriorarsi, con gravi ripercussioni sui percorsi di apprendimento e sul sostegno agli studenti.

“Non possiamo permettere che gli educatori, figure centrali nel favorire l’inclusione e il successo formativo, vengano ridotti a ruoli marginali e privati di opportunità di aggiornamento. La loro professionalità va valorizzata e aggiornata alle esigenze del mondo contemporaneo,” aggiunge D’Aprile.

Alla precarietà diffusa, l’ultimo concorso risale al 2000 – ricorda il Segretario – si sommano la negazione della mobilità, la mancata progressione economica e l’assenza di riconoscimento pieno dei diritti contrattuali. Inoltre, agli educatori continua a essere negato il bonus per la formazione professionale, costringendoli spesso ad azioni legali per veder riconosciuti i propri diritti.

“Sulla scorta di tali valutazioni, la Uil Scuola è impegnata a proporre iniziative pubbliche di confronto e di dibattito al fine di rilanciare le strutture educative e rivendicare il superamento delle macro-criticità che interessano il personale educativo, divenute ormai insopportabili.” conclude Giuseppe D’Aprile.

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I ritardi del Governo tagliano le retribuzioni del personale della scuola

Docenti e Ata si vedranno ridurre considerevolmente il netto in busta paga. La Uil Scuola Rua rivendica l’immediata restituzione del drenaggio fiscale con un’emissione straordinaria.

Il reddito da lavoro dipendente ha subito una drastica riduzione a causa delle riforme incompiute. Il Governo Draghi, prima, e quello Meloni, poi, hanno tagliato il cuneo contributivo rapportandolo al reddito da lavoro dipendente fino al limite massimo di € 35.000,00. In particolare, per redditi mensili lordi fino a € 1.923,00 (23.076,00 annui lordi) l’aumento sullo stipendio tabellare è stato del 7%; per quelli fino a € 2.692,00 (32.304,00 annui lordi) è stato del 6%. Situazione questa rimasta in vigore sino a tutto il 31.12.2024.
Per rendere strutturale questo beneficio economico per i lavoratori dipendenti, il Governo Meloni, con la legge di bilancio per il 2025, ha convertito il taglio contributivo in taglio delle tasse, agendo sull’ IRPEF e modificando le aliquote passandole da quattro a tre:

1) 23% fino a € 28.000,00;
2) 35% da 28.000,001 a 50.000,00;
3)43%da50.000,00 a salire.

Questo passaggio, per paradosso, ha determinato uno stipendio netto inferiore per effetto del c.d. fiscal drag (l’aumento nominale del reddito, ha fatto scattare le aliquote superiori con una trattenuta IRPEF più alta), rispetto al sistema precedente. Quello che tagliava i contributi.
E’ risultata, quindi, una trattenuta IRPEF (addizionali incluse) del tutto ingiustificata!

Lo stesso Governo ha riconosciuto l’errore e ha annunciato di voler rimediare con la restituzione del fiscal drag. Tuttavia, ad oggi, non si conoscono i tempi in cui la situazione sarà normalizzata.

In sintesi, al momento i lavoratori della scuola (sono interessati tutti i pubblici dipendenti), per effetto di questa modifica, si vedono riconoscere uno stipendio netto inferiore, (pur con un reddito imponibile più elevato rispetto a quello dell’anno precedente), pur avendo ricevuto un anticipo sugli aumenti retributivi contrattuali e percepito l’Indennità di vacanza contrattuale (IVC sul CCNL 2024/27)).
Sui cedolini si può agevolmente verificare come la voce “taglio contributivo” sia scomparsa e che risultano altre voci relative alle anticipazioni contrattuali, compresa l’IVC che avrebbero dovuto contenere l’aumento dell’inflazione e ridurre la perdita del potere d’acquisto.
Invece, innalzando l’imponibile, sono scattate le aliquote IRPEF più elevate.

L’effetto conclusivo è stato quello di determinare una busta paga più leggera!

Una situazione che sta generando grande malessere tra i lavoratori della scuola che la UIL e la UIL Scuola, sia in sede di trattativa per il rinnovo del CCNL 2022/24, che di confronto con il Governo, hanno stigmatizzato rivendicando aumenti contrattuali più elevati rispetto a quelli proposti in sede ARAN (5.78%), oltre alla totale revisione del sistema fiscale, attraverso la detassazione delle retribuzioni.

Nell’immediatezza, la Uil Scuola chiede la restituzione del prelievo fiscale operato sulla mensilità di aprile, anche ricorrendo ad emissioni straordinarie.

Sui dazi, lettera di Bombardieri a Meloni “Definire soluzioni comuni per tutelare lavoro, sistema produttivo, coesione sociale”

Il Segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri ha inviato una lettera aperta al Presidente del consiglio, Giorgia Meloni, in merito alla vicenda dazi.

Se ne diffonde il contenuto.

Ufficio stampa Uil

Ill.mo Presidente,

la Sua proposta di costruire un patto contro i rischi derivanti dai dazi e dalle guerre commerciali può rappresentare un’opportunità importante per il nostro Paese, ma solo se accompagnata da misure concrete, serie e condivise. Un patto, infatti, non si annuncia: si costruisce con il coinvolgimento attivo di tutte le parti interessate, a partire dalle organizzazioni sindacali.

L’annuncio del Presidente Trump sulla sospensione dei dazi per un periodo di 90 giorni apre una finestra temporale preziosa che l’Italia deve saper cogliere. È il momento di avviare un confronto vero e strutturato con i sindacati, come già richiesto dalla UIL e come stanno facendo anche altri governi europei e la Commissione stessa.

Abbiamo tre mesi per definire soluzioni comuni che tutelino il lavoro, il nostro sistema produttivo e la coesione sociale. I dazi non colpiscono solo le imprese: colpiscono milioni di lavoratori, con il rischio concreto di licenziamenti, aumento dei prezzi e ulteriore impoverimento del potere d’acquisto.

In questo contesto, rinnoviamo l’invito a convocare con urgenza le parti sociali, approfittando della momentanea tregua internazionale.

Il piano da 25 miliardi annunciato dal Governo merita un’attenta valutazione. In particolare, riteniamo potenzialmente utile la quota di 14 miliardi derivanti dalla revisione del PNRR, ma solo a condizione che le imprese beneficiarie si impegnino a non licenziare e a mantenere gli attuali livelli occupazionali. Senza condizionalità precise, esiste il rischio concreto che le risorse pubbliche finiscano per essere assorbite da soggetti che non restituiscono nulla alla collettività, e che a rimetterci sia ancora una volta l’Italia che lavora duramente.

Non ci trova invece d’accordo, ed esprimiamo forte preoccupazione, l’ipotesi di destinare gli 11 miliardi delle politiche di coesione europee ad altri fini. Togliere fondi vitali alle aree più fragili, in particolare al Mezzogiorno- più forte già colpito dalla riduzione della ’decontribuzione Sud’- significa aumentare le diseguaglianze anche generazionali e di genere, complicare la ricerca di un lavoro per tante persone e condannare intere regioni a un progressivo impoverimento abdicando ai principi della coesione stessa.

Non possiamo condividere, in linea di principio, neppure l’ipotesi di utilizzo delle risorse del Fondo europeo per il clima, destinate a tutelare i lavoratori colpiti dalla transizione ecologica. Ricordiamo che, ai sensi dell’articolo 5 del Regolamento 2023/955, tali fondi devono essere oggetto di confronto con sindacati e parti sociali. Il Governo, entro il 30 giugno, è tenuto a presentare un piano alla Commissione Europea, e la UIL è pronta a partecipare responsabilmente a questo percorso.

Occorre inoltre considerare che tra gli effetti dei dazi vi potrebbe essere un potenziale aumento dei prezzi. Se a questo si sommassero i rischi occupazionali e la stagnazione salariale, il risultato per le famiglie italiane potrebbe essere drammatico. Siamo favorevoli al sostegno alle imprese, ma non a costo di licenziamenti o ulteriori aumenti dei prezzi. Senza vincoli rigorosi, i lavoratori rischiano di pagare due volte: prima con la perdita del lavoro e poi con la perdita del potere d’acquisto. È dunque necessaria l’introduzione di condizionalità stringenti, sul modello di quanto fatto recentemente con l’IRES premiale.

Chiediamo misure concrete e immediate per rilanciare i consumi interni e sostenere le famiglie, a partire dall’aumento dei salari. Questo può avvenire in tempi rapidi solo attraverso la defiscalizzazione degli aumenti contrattuali e lo stanziamento immediato delle risorse per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego da parte del Governo, e attraverso il rinnovo degli altri contratti bloccati a partire da quello dei metalmeccanici. Queste misure consentirebbero aumenti stipendiali di diverse centinaia di euro, rafforzando la capacità di spesa delle famiglie e sostenendo al contempo la domanda interna. Inoltre, si tratterebbe di interventi sostenibili, che si ripagherebbero da soli grazie all’effetto moltiplicatore sui consumi e al risparmio che lo Stato avrebbe sugli ammortizzatori sociali, che in caso contrario potrebbero costare miliardi.

In questo quadro, la UIL ha avanzato una proposta concreta per incrementare l’attività estrattiva di gas dai giacimenti italiani in Adriatico, destinando parte della produzione, a prezzi calmierati, alle imprese energivore, a condizione del rispetto di impegni sociali chiari: tutela dell’occupazione e rispetto dei contratti collettivi. Una misura immediatamente attivabile, in grado di proteggere migliaia di posti di lavoro.

Infine, ribadiamo l’urgenza di una strategia europea condivisa. I dazi e le guerre commerciali si affrontano con una risposta unitaria, capace di mettere al centro il lavoro, l’industria e la coesione sociale. L’Italia deve farsi promotrice di una visione europea più giusta, attenta alla dignità e alla sicurezza dei lavoratori in ogni territorio.

La UIL, come ha fatto nei suoi settantacinque anni di storia, resta disponibile al confronto, con spirito costruttivo e responsabilità.

Il Segretario generale della Uil

lettera

I ritardi del Governo tagliano le retribuzioni del personale della scuola

Docenti e Ata si vedranno ridurre considerevolmente il netto in busta paga. La Uil Scuola Rua rivendica l’immediata restituzione del drenaggio fiscale con un’emissione straordinaria.

Il reddito da lavoro dipendente ha subito una drastica riduzione a causa delle riforme incompiute. Il Governo Draghi, prima, e quello Meloni, poi, hanno tagliato il cuneo contributivo rapportandolo al reddito da lavoro dipendente fino al limite massimo di € 35.000,00. In particolare, per redditi mensili lordi fino a € 1.923,00 (23.076,00 annui lordi) l’aumento sullo stipendio tabellare è stato del 7%; per quelli fino a € 2.692,00 (32.304,00 annui lordi) è stato del 6%. Situazione questa rimasta in vigore sino a tutto il 31.12.2024.
Per rendere strutturale questo beneficio economico per i lavoratori dipendenti, il Governo Meloni, con la legge di bilancio per il 2025, ha convertito il taglio contributivo in taglio delle tasse, agendo sull’ IRPEF e modificando le aliquote passandole da quattro a tre:

1) 23% fino a € 28.000,00;
2) 35% da 28.000,001 a 50.000,00;
3)43%da50.000,00 a salire.

Questo passaggio, per paradosso, ha determinato uno stipendio netto inferiore per effetto del c.d. fiscal drag (l’aumento nominale del reddito, ha fatto scattare le aliquote superiori con una trattenuta IRPEF più alta), rispetto al sistema precedente. Quello che tagliava i contributi.
E’ risultata, quindi, una trattenuta IRPEF (addizionali incluse) del tutto ingiustificata!

Lo stesso Governo ha riconosciuto l’errore e ha annunciato di voler rimediare con la restituzione del fiscal drag. Tuttavia, ad oggi, non si conoscono i tempi in cui la situazione sarà normalizzata.

In sintesi, al momento i lavoratori della scuola (sono interessati tutti i pubblici dipendenti), per effetto di questa modifica, si vedono riconoscere uno stipendio netto inferiore, (pur con un reddito imponibile più elevato rispetto a quello dell’anno precedente), pur avendo ricevuto un anticipo sugli aumenti retributivi contrattuali e percepito l’Indennità di vacanza contrattuale (IVC sul CCNL 2024/27)).
Sui cedolini si può agevolmente verificare come la voce “taglio contributivo” sia scomparsa e che risultano altre voci relative alle anticipazioni contrattuali, compresa l’IVC che avrebbero dovuto contenere l’aumento dell’inflazione e ridurre la perdita del potere d’acquisto.
Invece, innalzando l’imponibile, sono scattate le aliquote IRPEF più elevate.

L’effetto conclusivo è stato quello di determinare una busta paga più leggera!

Una situazione che sta generando grande malessere tra i lavoratori della scuola che la UIL e la UIL Scuola, sia in sede di trattativa per il rinnovo del CCNL 2022/24, che di confronto con il Governo, hanno stigmatizzato rivendicando aumenti contrattuali più elevati rispetto a quelli proposti in sede ARAN (5.78%), oltre alla totale revisione del sistema fiscale, attraverso la detassazione delle retribuzioni.

Nell’immediatezza, la Uil Scuola chiede la restituzione del prelievo fiscale operato sulla mensilità di aprile, anche ricorrendo ad emissioni straordinarie.

D’Aprile: ancora una volta tentano di escluderci dai tavoli sindacali

8 aprile il ricorso in appello sulla riammissione della Uil Scuola Rua all’informativa e al confronto. Per il Segretario ‘è un ricatto politico sindacale.’

La Uil Scuola Rua sta subendo un ricatto politico sindacale, denuncia il Segretario generale della Uil Scuola Rua, Giuseppe D’Aprile.

Domani, 8 aprile, si terrà la discussione del ricorso in appello, con la richiesta di sospendere l’efficacia della Sentenza che ha riammesso la Federazione UIL Scuola Rua ai tavoli sindacali di informativa e confronto.

Il tribunale di Roma, sancendo un diritto costituzionale – ricorda D’Aprile – ha disapplicato gli articoli 5 e 6 del contratto istruzione e ricerca nella parte in cui l’informazione e il confronto sono riservate ai soli soggetti sindacali firmatari del contratto.

La fretta di impugnare la sentenza con la richiesta di inibitoria – cioè di sospensione urgente del dispositivo che ci ha riammesso ai tavoli – da cosa è giustificata? – si chiede il Segretario – quale sarebbe l’atteggiamento antigiuridico tale da giustificare una richiesta di sospensiva?

Noi ci siamo fatti un’idea. Inibire, appunto, attraverso un’opposizione antidemocratica e anticostituzionale, la possibilità ad una organizzazione sindacale rappresentativa di migliaia di lavoratori, di poter liberamente esprimere le proprie coerenti posizioni sindacali.

Dover firmare un contratto per essere informati – altrimenti si è esclusi dall’esercizio di un diritto costituzionale – per noi si chiama ricatto politico sindacale – denuncia D’Aprile – e noi ai ricatti non ci stiamo.

Indipendentemente dall’esito, continueremo nella strada tracciata a tutela delle persone che tutti i giorni fanno il loro lavoro con dedizione e professionalità. Abbiamo fiducia nella Magistratura.